Friday, September 21, 2007

SETTIMANE SOCIALI, ITALIA E BENE COMUNE

Editoriale di Claudio Gentili, Direttore de “La Società”

Nel 1907, in occasione della prima Settimana Sociale dei cattolici italiani, furono affrontati, sotto l’attenta regia di Giuseppe Toniolo, temi di grande attualità: la condizione di lavoro degli operai, i contratti di lavoro, la formazione, l’emigrazione.

Pistoia fu scelta non a caso, ma come esempio di una fiorente attività cooperativa. Mons. Pottier, della Scuola Sociale Cattolica di Liegi fu invitato a trattare in modo specifico dei traguardi conquistati dalla cooperazione.

La scelta di Pistoia e di Pisa per celebrare dal 18 al 21 ottobre 2007 il centenario delle Settimane Sociali non è solo una scelta celebrativa. L’auspicio è che si torni a parlare di temi forti, ad affrontare nuovamente la questione sociale, a parlare del lavoro (su cui da tempo si riflette poco), ad affrontare i grandi temi della questione antropologica, a dare ai laici uno spazio da protagonisti e non da spettatori, a ritrovare la capacità pragmatica di evidenziare non solo problemi ma anche soluzioni, a rinunciare al genericismo delle dichiarazioni e degli auspici.

La 45ma Settimana Sociale dei cattolici, a cui la nostra Rivista ha dedicato tutti i numeri del 2007, è un’occasione per riflettere sul bene comune e sull’Italia.

Il bene comune – diciamolo con chiarezza – è l’esatto contrario dei concorsi truccati, dei test di accesso all’università pagati, dei furbetti del quartierino, dell’evasione fiscale, del mancato utilizzo della riscossione fiscale per alleviare le povertà, dello spreco del denaro pubblico, della mancanza di capacità di decisione, delle varie mafie. Recentemente di fronte alla scoperta di un test per l’accesso alla facoltà di medicina che era stato pagato, un giovane ha candidamente risposto: “siamo in un paese di furbi e anch’io faccio il furbo”.

E’ questo il punto da cui partire: il bene comune come vita retta per tutti.

Il bene comune come elemento unificatore di una società pluralista.

Il bene comune come orizzonte etico che precede la politica.



Il nostro è un paese che da circa 20 anni vive in uno stato cronico di divisione profonda. Prima le vicende di Tangentopoli, poi l’emergere di un bipolarismo selvaggio in cui le coalizioni nascevano avendo come unico collante l’odio per l’avversario, infine la progressiva rottura del rapporto fra cittadini e politica, l’incapacità della politica a governare e a ottenere risultati.

Ma soprattutto una crisi di reputazione della politica e una carenza di leader credibili.

In talune forme il bipolarismo selvaggio non ha risparmiato neppure la comunità ecclesiale. Infine la perdita della passione per il bene integrale della persona e per il bene comune causata dalle diverse forme di individualismo e dal relativismo.

Il successo del blog di un famoso comico italiano improvvisatosi capopopolo, che invoca la forca per la politica e i suoi rappresentanti eletti in Parlamento, è un segno della crisi dell’idea di bene comune.

In forma sintetica si può dire che l’Italia ha bisogno di bene comune, ha bisogno di unità, ha bisogno dei cattolici. Far ritrovare all’Italia lo spirito dei padri costituenti è il primo compito della 45ma Settimana Sociale.

In secondo luogo la settimana sociale è una grande occasione di unità e di comunione sinfonica dentro la Chiesa. Franco Garelli, in alcuni recenti e lucidi interventi, ha descritto una cattolicità italiana divisa tra credenti impegnati in esperienze kerigmatiche e spirituali ma privi di sensibilità sociale e i cattolici del volontariato e dell’impegno sociale in taluni casi in difficoltà di sintonia con i temi di fondo dell’insegnamento dei pastori.

Come ha evidenziato la 58ma Settimana Liturgica nazionale, che si è svolta a Spoleto a fine agosto, è proprio la liturgia uno dei luoghi privilegiati per lo sviluppo di una coscienza sociale ispirata al Vangelo. Per vivere da cristiani occorre armonizzare la fedeltà a Cristo con la cittadinanza, cioè con l’impegno ad essere presenti nel mondo. Ogni celebrazione liturgica aiuta ad operare una lettura sapienziale della storia e un discernimento dei fatti e aiuta a scorgere la misteriosa presenza del Risorto nel quotidiano.

E lo stesso Family day che nel maggio scorso ha visto scendere in piazza un milione di cattolici a difesa dell’idea comune di famiglia (quella sancita dall’art. 29 della nostra Carta Costituzionale) ha segnato una evidente discontinuità. Sono scesi in piazza cattolici che non avevano mai partecipato a una manifestazione politica. E’ sceso in piazza il popolo cattolico. Sono scesi in piazza i nuovi movimenti, quella che potrebbe essere definita la società civile della Chiesa.

Per dirla in modo un po’ sbrigativo, accanto ai cattolici liberali, ai cattolici democratici e ai cattolici impegnati nel volontariato emerge una terza figura, che potremmo provvisoriamente definire dei “neo-cattolici”, che si affaccia all’impegno sociale e che a questo impegno è chiamata da una forte esperienza di Dio e da un cammino di conversione personale e comunitario.

Sicuramente nei tanti volti e nelle tante storie presenti a Pisa-Pistoia, accanto ai cattolici impegnati tradizionalmente nel sociale ci saranno i volti dei “neo-cattolici”, con meno esperienza politica ma con una grande domanda di luoghi in cui i cattolici tornino sa far sentire la loro voce e a dare il loro contributo all’unificazione di un paese tanto diviso.

Alla 44ma Settimana Sociale di Bologna il cardinale Carlo Caffarra ha affermato: “abbiamo bisogno di un luogo, creato da tutte le forze associate del laicato cattolico italiano dove sia possibile offrire un’alta formazione a chi intende impegnarsi nella costruzione di una polis nella quale l’ordine delle cose è subordinato all’ordine delle persone”.

Nonostante numerosi e generosi tentativi, nonostante l’impegno di Retinopera, Scienza e Vita, Forum delle famiglie, Scuole diocesane di dottrina sociale, questa domanda è rimasta sostanzialmente inevasa. Ecco allora il terzo grande auspicio per le Settimane Sociali del centenario. Non ridursi ad un evento celebrativo, ma lanciare tre grandi sfide: l’unificazione del paese attorno al bene comune, il nuovo ruolo dei cattolici uniti sui valori non disponibili e alleati con tutti gli uomini di buona volontà, la formazione alla coscienza sociale.

Negli incontri estivi di Bose, Vallombrosa e Subiaco, appuntamenti decisivi per ripensare il ruolo dei cattolici nella società italiana, fortunatamente con toni e sensibilità differenziate è emersa una domanda comune: valorizzare il ruolo dei cattolici come esperti di bene comune.

Tre tratti essenziali sono stati richiamati come caratteristici della formazione alla coscienza sociale. In primo luogo la formazione deve abilitare ad una laicità per la quale il pluralismo è da viversi entro una comune cornice di valori.

In secondo luogo i cattolici sono chiamati a partecipare al dibattito democratico proponendo principi valori e soluzioni, nell’ambito dell’idea della democrazia deliberativa e non meramente competitiva in termini razionali quindi condivisibili da ogni uomo di buona volontà.

In sostanza si tratta di formare ad una idea di laicità intesa come casa comune le cui mura sono costituite dai valori non negoziabili dell’ecologia umana.

In terzo luogo la formazione deve far leva su quel patrimonio dottrinale e sociale costituito dalla tradizione del movimento cattolico e dalla DSC.

Evidentemente la formazione alla coscienza sociale deve evitare forme di moralismo e di velleitarismo e preparare persone competenti capaci di adottare soluzioni efficaci per il bene comune . Alla base di questa auspicata nuova stagione formativa per i cattolici vi è l’idea che l’Italia ha bisogno del contributo dei cattolici per la costruzione del bene comune.

Occorre evitare sia precipitose fughe in avanti nella costruzione di un nuovo partito cattolico che altrettanto immotivate forme di assuefazione al relativismo e alla secolarizzazione e di conseguente programmatica rinuncia a quello che Guardini definiva il “distintivo cristiano”.

Per rafforzare l’impegno sociale i laici cattolici,nella loro autonoma responsabilità di animare le realtà temporali, e soprattutto le loro Associazioni e Movimenti, hanno la necessità di rafforzare il “mettersi in rete” non solo per superare forme sterili di competizione ma soprattutto, come ricorda costantemente Savino Pezzotta, uno dei leader più credibili di questa nuova stagione del movimento cattolico, per evitare il rischio di un neocollateralismo bipolare, palese o occulto.

Fatta salva l’autonomia del sociale come ricchezza e risorsa delle persone (che nessuna “statolatria” può soffocare) la presenza politica dei cattolici in Italia non può oggi che essere plurale. La domanda da porsi quindi è: mentre nasce il Partito democratico e si propone la formazione del Partito delle libertà nell’ottica di un rafforzamento del bipolarismo e di un superamento della frammentazione, come i cattolici possono dare un contributo alla democrazia attraverso la fecondità sociale del loro contributo al bene comune e la sperimentazione di nuove forme di partecipazione.

Nessuno nega ovviamente il ruolo fondamentale dei partiti ma nessuno è obbligato a stare in un recinto. Accanto al nascituro bipartitismo possiamo immaginare espressioni di partecipazione più libere e aperte, in grado di far crescere una domanda politica dal basso, ridando peso e autonomia alla dimensione territoriale. Strumenti che siano capaci di intervenire nel dibattito politico con proposte, mobilitazioni, campagne in grado di generare pensiero politico e di favorire la partecipazione. Un po’ come avvenne in altre stagioni del movimento cattolico con l’Opera dei congressi, la Lega democratica di Donati e le ACLI.

Come è stato nel passato, anche nel futuro il cattolicesimo rimane una risorsa per pensare l’Italia. Come non possiamo immaginare il nostro patrimonio culturale nazionale senza le Madonne di Raffaello e i Crocifissi di Giotto così ci è difficile immaginare il futuro dell’Italia senza un ruolo attivo e propositivo dei cattolici.

L’identità italiana non è quella di una nazione cattolica ma tale identità non si può prospettare senza il cattolicesimo. Direi che scopo precipuo di tale formazione alla coscienza sociale è aiutare i cattolici a ripensare il proprio ruolo di laici impegnati per la costruzione della città dell’uomo.

Il fulcro ispiratore e sintetico della formazione alla coscienza sociale è il concetto di bene comune che va reinterpretato alla luce dei cambiamenti storici. Si tratta quindi di appropriarsi del concetto già elaborato dalla Pacem in Terris di bene comune universale e di quella dimensione universalistica di bene comune che la Centesimus Annus individua nel tema della salvaguardia del creato.

Si tratta infine di legare strettamente bene comune e questione antropologica. Facendo in modo che non vi siano più i cattolici della pace e quelli della famiglia con reciproche antipatie ideologiche ma che pace e famiglia, salvaguardia del creato e rifiuto delle manipolazioni genetiche, attenzione ai poveri e fisco equo, solidarietà con gli immigrati e rafforzamento della legalità, cultura del lavoro e passione educativa, camminino insieme.

Vi sono due motivi dominanti del Magistero di Benedetto XVI che possono ispirare una ripresa di attenzione al ruolo sociale dei cattolici. Innanzitutto l’esigenza di conciliare fede e ragione. In secondo luogo l’idea che dove Dio è grande l’uomo non è mai piccolo e che chi crede non è mai solo.

All’Agorà di Loreto Papa Ratzinger ha dato ai giovani una consegna che penso possa valere per tutti i partecipanti alla 45ma Settimana Sociale: “non abbiate paura di preferire le vie alternative indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale, relazioni affettive sincere e pure, un impegno onesto nello studio e nel lavoro, l’interesse profondo per il bene comune”.

Tornano alla memoria gli ambiti del Convegno ecclesiale di Verona: vita affettiva, fragilità umana, lavoro e festa, tradizione, cittadinanza. Tutti temi grandi da declinare attraverso la testimonianza personale, il pensiero sociale e l’azione comune. Per il bene dell’Italia.



pasquale orlando: SETTIMANE SOCIALI, ITALIA E BENE COMUNE

Sunday, September 16, 2007

Il Santo Padre Benedetto XVI accoglie in udienza S. Egidio nell'imminenza dell'Incontro di Preghiera per la Pace

Il Santo Padre Benedetto XVI ha accolto in udienza Andrea Riccardi, Marco Impagliazzo e mons. Vincenzo Paglia, nell'imminenza dell'Incontro di Preghiera per la Pace organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio - che avrà luogo quest' anno a Napoli dal 21 al 23 ottobre - nel ventunesimo anniversario dello storico incontro tra i rappresentanti delle religioni mondiali voluto da Giovanni Paolo II ad Assisi.

All' Incontro parteciperanno tra gli altri il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartholomaios, l' arcivescovo di Canterbury, Rowan D. Williams, il Rabbino Capo d'Israele,Yona Metzger, il Rettore dell'Università di Al-Azhar in Egitto, Ahmad Al-Tayyeb.

pasquale orlando: Il Santo Padre Benedetto XVI accoglie in udienza S. Egidio nell'imminenza dell'Incontro di Preghiera per la Pace

Saturday, July 21, 2007

Incontro Internazionale di Preghiera per la Pace tra le religioni mondiali a Napoli con Benedetto XVI

pasquale orlando: Incontro Internazionale di Preghiera per la Pace tra le religioni mondiali a Napoli con Benedetto XVI
Benedetto XVI nel messaggio, inviato all’incontro
interreligioso per la pace di Assisi del settembre
2006, ha scritto: “L’iniziativa promossa vent’anni
or sono da Giovanni Paolo II assume il carattere di
una puntuale profezia”.
La Comunità di Sant’Egidio ha voluto sostenere e
diffondere negli ultimi venti anni quello spirito di
Assisi contenuto nell’invito di Giovanni Paolo II, al
termine della storica Giornata di Preghiera
del 27 ottobre 1986: “Continuiamo
a diffondere il messaggio
della Pace e a vivere lo
spirito di Assisi”.
Ne è nato un pellegrinaggio
di pace che ha
fatto sosta, anno dopo
anno, in diverse città
europee e mediterranee.
Roma (1987 e 88) Varsavia,
Bari, Malta. Quindi Milano
e, negli anni seguenti,
Assisi e Firenze.
Una riunione particolare
si tenne nel
1995 nel cuore della
Città Santa, sul tema
“Insieme a Gerusalemme:
ebrei, cristiani e musulmani”.
Nel 1998 l’eccezionale Incontro di
Bucarest “La pace è il nome di Dio: Dio,
l’uomo, i popoli”, che ha aperto la strada alla
prima visita di Giovanni Paolo II in un paese
ortodosso, avvenuta a Bucarest pochi mesi
dopo.
Incontri si sono svolti anche a Lisbona, Barcellona,
Palermo, Aachen, poi Milano e Lione. Per fare
memoria dei venti anni della prima Giornata di
Preghiera ci si è riuniti a Washington e, di nuovo,
Assisi.
Il prossimo incontro, dal 21 al 23 ottobre 2007, si tiene
a Napoli, città così significativa per la sua storia e la
sua collocazione nel cuore del Mediterraneo, crocevia
di differenti tradizioni culturali e religiose.
Il tema è: “Per un mondo senza violenza: religioni e
culture in dialogo”.
Di fronte alla violenza così
diffusa nelle nostre società,
ma anche allo spaesamento
che vive l’uomo contemporaneo
- nel Nord come
del Sud del mondo -, si
sente l’urgenza di
riaffermare con coraggio
la strada del dialogo e della
cooperazione tra le religioni
e le culture.
A Napoli, in lingue e culture
differenti, si dirà che solo attraverso
il dialogo ed il confronto aperto
con l’altro è possibile costruire
quell’autentica civiltà del convivere
così necessaria ad ogni società contemporanea.
Napoli, nel cuore del Mediterraneo,
dal 21 al 23 ottobre ospita i rappresentanti delle
religioni e delle culture mondiali e diviene
capitale della pace, raccogliendo le sfide, le
domande e soprattutto le attese di uomini e
donne, di popoli interi.
Tre giorni d’incontro, di preghiera e di confronto, per
costruire insieme, nel dialogo, “un mondo senza
violenza”.

Sunday, May 06, 2007

A Napoli la giornata mondiale di preghiera per la pace. Torna a soffiare lo spirito di Assisi.

A Napoli dal 21 al 23 ottobre la Giornata mondiale di preghiera per la pace. L'evento, voluto per la prima volta nell'86 da Papa Woytila e reso appuntamento annuale dalla Comunità di Sant'Egidio, vedrà riuniti 300 tra capi di Stato e autorità politiche, culturali e religiose di tutto il mondo.

Saturday, March 31, 2007

domani Incontro per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso a S.Anna a Capuana (napoli)

domani Incontro per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso a S.Anna a Capuana (napoli)
domani 1° aprile, alle ore 18.30, si terrà presso la Chiesa di S. Anna a Capuana a Napoli (alle spalle di Castel Capuano) un incontro di approfondimento con Don Gaetano Castello, responsabile diocesano per l'ecumenismo ed il dialogo interreligioso. L'incontro avrà ad oggetto la prossima Assemblea ecumenica delle chiese d'Europa che si terrà a Sibiu in Romania il prossimo 6-9 settembre.Seguirà, verso le 19.30, la preghiera nello stile di Taizè che rappresenta la tappa quindicinale della nostra itineranza di preghiera.Sarà dunque un momento di grande interesse e coinvolgimento per il cammino ecumenico anche in considerazione della domenica delle Palme che predece una Pasqua particolare in quanto comune quest'anno come data a tutte le chiese cristiane.

Wednesday, March 14, 2007

un'analisi sulle criticità afferenti gli ambiti del lavoro, della scuola/università, della cittadinanza/politica.

Carissimi in occassione dell'incontro con i giovani della IV zona pastorale della diocesi di napoli con il Cardinale Sepe è stato chiesto a Giuseppe Irace di produrre un'analisi sulle criticità afferenti gli ambiti del lavoro, della scuola/università, della cittadinanza/politica.
La pubblichiamo per favorire una più vasta riflessione.



Carissimo Arcivescovo,

mi è stato chiesto, dalla Pastorale Giovanile del IX decanato, di provare ad esporre 3 ambiti strettamente laicali della vita dei giovani di questa zona pastorale (ma credo che, per la vastità del territorio, rispecchino in pieno quelli dell’intero territorio cittadino).
E di questi ambiti esporre solo le criticità affinché lei ci possa indicare come “organizzare la speranza”.
Non essendo più strettamente giovane – a 32 anni con lavoro, casa, moglie e figlia si deve iniziare a pensare di avere a che fare con un adulto, con un adulto giovane ma pur sempre con un adulto, per evitare già da questi piccoli segni una deriva “giovanilista” - ho provato a far conto con la mia più che decennale esperienza di educatore di giovani e giovanissimi, in Azione Cattolica, e soprattutto ho ascoltato un gran numero di educatori e di giovani sui tre temi affidati: lavoro, scuola e università e cittadinanza e politica.
Per forza di cosa, per la brevità di tempo, procederò con estrema sintesi, quasi per slogan. In questo modo, forse col rischio di un po’ di superficialità ma anche con molta essenzialità, proverò quasi a fare tre fotografie delle “fragilità” che si riscontrano nei tre ambiti.
Vorrei anche scusarmi per il fatto che leggerò il mio intervento ma, avendo condiviso questo contributo con altri, vorrei tener fede alle cose che insieme abbiamo concordato.

Il lavoro
Qualche anno fa Massimo Troisi in un noto brano di cabaret diceva che a Napoli la parola lavoro non si trova mai da sola: lavoro nero, lavoro minorile, lavoro sottopagato,…
Dopo decenni credo che lo sketch sia quanto mai di attualità anche se forse non fa più ridere.
Il lavoro nero continua ad imperare soprattutto nei contesti a bassa professionalizzazione, nelle numerose “fabbrichette” e nel commercio, ma anche nelle professioni: quanti avvocati, commercialisti o architetti hanno un contratto negli studi dove, di fatto, sono dipendenti? Quante segretarie hanno un contratto dai loro datori di lavoro?
Ma le forme di lavoro nero si sono raffinate: non sono pochi i giovani che sono contrattualizzati “part time” e invece lavorano “full time” (straordinari domenicali inclusi). Oppure in tanti firmano buste-paga molto più alte di quanto realmente percepiscono: basta pensare agli insegnanti degli istituti scolastici parificati (spero non anche negli Istituti religiosi).
Ma la difficoltà maggiormente presente tra i giovani è la “precarizzazione” che, da facilitazione all’accesso nel mondo del lavoro, è rapidamente divenuta sottoccupazione regolamentata e resa stabile, con le ovvie difficoltà alla progettazione della propria vita.
A questo si associa spesso un accesso in ritardo al mondo del lavoro che fa sì che si chiamino “giovani” dei laureati trentenni.
Agli stipendi oggettivamente bassi si contrappongono aspettative di spesa a volte troppo alte, con bisogni indotti dagli standard televisivi.
Poi ci sono i giovani impegnati nelle imprese sociali del cosiddetto terzo settore che spesso per essere pagati devono attendere anche 12, 13 mesi prima che i Comuni liquidino le cooperative dove lavorano.
Poi c’è tutto il settore della formazione professionale volto all’inclusione nel mondo del lavoro. È noto che tali interventi non hanno prodotto nemmeno un unico posto di lavoro se non per i formatori che in alcuni casi pare abbiano foraggiato il sistema delle clientele.
Ulteriore preoccupazione, che ormai è diventata una certezza: molti giovani, anche quelli delle nostre parrocchie, sono costretti ad emigrare al nord. Cosicché la città e la Chiesa locale perdono i giovani più motivati, onesti o preparati. E perdono anche quelli che non sono disposti a chinarsi di fronte al potente di turno che promette di “sistemarlo” nell’ennesima S.p.A. a totale capitale pubblico. Veda, Eminenza, queste S.p.A. hanno sostanzialmente risolto il problema dell’inclusione dei raccomandati potendosi applicare per esse l’accesso diretto, ovvero senza concorso pubblico, rispondendo alle leggi del privato, pur essendo a totale proprietà pubblica. Questo è un esempio di come, nel formale rispetto delle regole, si possano conseguire risultati sostanzialmente ingiusti. Vostra Eminenza ha giustamente insistito sulla necessità di investire in educazione. Ma non v’è dubbio che vicende di questo genere producono effetti devastanti proprio sul piano educativo, cioè sul piano della formazione delle coscienze.

Scuola e Università
Pensando alle criticità della scuola subito ci è venuta in mente l’imperante delegittimazione dei docenti da parte dei nostri giovanissimi ma a volte anche da parte dei loro genitori. Questi ultimi alternano una apparente delega del ruolo educativo alla scuola con una grande inadeguatezza nel trasferire regole, producendo giovani viziati e troppo spesso incapaci di responsabilizzarsi.
Si aggiunga che, in linea generale, i ragazzi vanno a scuola quasi sempre con un misto di senso di obbligo e volontà di trovare un lavoro. Viceversa, quasi mai riescono a percepire il valore della crescita umana e culturale.
Discorso a parte si può fare per la demotivazione nei docenti, ma questa solo marginalmente interessa il ruolo attivo dei ragazzi e dipende da altre cause.
Per quanto riguarda l’Università, dal dialogo con i giovani sono venute diverse sollecitazioni:
 le problematiche legate al numero chiuso e, di contro, quelle che riguardano i numeri enormi di iscritti ad alcune facoltà;
 la “liceizzazione” delle università con una conseguente parcellizzazione degli esami e uno scarso livello della formazione;
 il nepotismo universitario che influisce sulla qualità dei docenti. È ormai accettato da tutti, forse anche dai docenti che noi invitiamo ai nostri convegni, che le assunzioni all’Università avvengano per cooptazione con una sostanziale elusione dei meccanismi concorsuali. Il risultato è che tutto è lasciato alla coscienza del docente che, nel migliore dei casi, coopta il più bravo del suo gruppo di ricerca, nel peggiore il figlio o il nipote.
A tutto questo si associa l’impegno part-time dei docenti che svolgono altre professioni e che, di conseguenza, non si dedicano completamente all’insegnamento o alla ricerca.

Politica e cittadinanza
Innanzitutto ci sembra che il vivere da cittadini ancora per tanti non sia una cosa “normale”: il disinteresse per la cosa pubblica è atteggiamento comune a tantissimi giovani e meno giovani.
L’individualismo caratterizza le nostre piccole e grandi scelte. Il qualunquismo impera e la “politica” continua ad essere una parolaccia da cui tenersi alla larga.
Di contro, l’accattonaggio e il servilismo nei confronti dei potenti ha assunto dimensioni impressionanti anche nelle classi sociali economicamente e culturalmente più elevate. E, cosa ancora più grave, si incontrano giovani e giovanissimi che sono già vecchi nel modo di pensare e di rapportarsi con la politica e che sono privi della carica ideale propria della giovinezza che, invece, ciascuno dovrebbe coltivare per non perderla da adulti.
Oppure l’approccio verso la politica è vissuto da “tifosi” parteggiando per una parte piuttosto che per l’altra e non basandosi su valori o su programmi ma sull’appartenenza quasi fideistica ad uno schieramento oppure all’altro.
D’altro canto, ci si chieda: seppure un giovane in gamba, già fortemente impegnato nel volontariato, decidesse di iniziare a fare politica, quale atteggiamento rischierebbe di trovare intorno a se nel nostro ambiente?
Alcuni penserebbero ad una risorsa persa per entrare nei pericolosi sistemi della politica. Altri gli darebbero una bella pacca sulla spalla complimentandosi della scelta. Qualcuno magari gli darebbe anche fiducia (“una delega in bianco”) votandolo per poi abbandonarlo e continuare a vivere nella propria indifferenza. Altri lo guarderebbero con sospetto e magari penserebbero (“te lo dicevo io …”) che il nostro giovanotto abbia approfittato del proprio impegno nel volontariato per fare “il grande salto” nell’agone politico.
Altri ancora lo vedrebbero come una “risorsa” a cui “attingere”. E così gli si potrebbe segnalare quel bravo giovane che “io lo conosco da tanti anni e deve fare l’esame di accesso all’università”, quel finanziamento per il progetto dell’oratorio della parrocchia che magari potrebbe avere un aiutino “ma per carità solo un aiutino…!”, o quella ragazza che ha fatto domanda per il servizio civile in Comune “che io conosco la famiglia da tanti anni” e che potrebbe avere proprio bisogno di quei 400€ al mese, ancora quel bravo avvocato o quel docente universitario che si propongono per una consulenza.
Questo rischia di essere la nostra partecipazione? Dove è andata a finire la politica proposta come “la più alta forma di carità” come amava definirla Paolo VI? Che spazio diamo alla cura delle vocazioni politiche?
Ritengo che ci siano due rischi che assume oggi più che mai, chi fa politica.
Uno è l’isolamento di chi si impegna in politica. Infatti, cosa è accaduto negli anni successivi a “tangentopoli”? Un folto gruppo di persone perbene e in gamba, anche provenienti dal contesto ecclesiale, ha vissuto un impegno politico nelle istituzioni, anche di primo piano. Ma da soli. Dopo di che, cosa è avvenuto con il passare del tempo e con il ritorno di vecchie logiche e di loschi figuri? O si sono “integrati” con il sistema o sono stati prima “isolati” e poi “emarginati”, in molti casi “espulsi” dalla politica.
Questo mi fa giungere alla conclusione che l’impegno politico bisogna viverlo insieme. Il che significa che un gruppo di persone che condivide ideali e progetti se intende vivere l’impegno politico costruisce una rete leale e fa “squadra”. Ma anche questo non basterebbe: infatti è necessario che alle spalle di questo manipolo di uomini e di donne ci sia una comunità che sostenga, orienti e corregga le scelte del gruppo. Di più: una comunità che produca idee sulla vita della città cioè sulla polis cioè sulla politica. Si tratta, in altri termini, di creare una sensibilità diffusa nella comunità ecclesiale in mancanza della quale gli inviti del magistero ad un rinnovato impegno nella politica sarebbero solo esercitazioni letterarie. D’altro canto, non sto scoprendo nulla di nuovo: basti dare uno sguardo alla Dottrina sociale della Chiesa e, da ultimo, al magistero di Giovanni Paolo II (valga per tutti il n. 42 della Christifideles laici) per averne conferma.
Un secondo rischio che intravedo attiene agli strumenti: chi decide di fare politica lo fa entrando in un partito. Uno strumento – per come è oggi e non certo per come era nella logica dei padri costituenti – tarato alla base. Quindi chi vuole fare politica può o cambiare da dentro le logiche del partito o provare ad individuare strumenti nuovi.
Credo, e spero, che qualcuno possa confutare la mia opinione, che la scelta di cambiamento dall’interno non paghi.
Sarebbe come combattere con le pistole ad acqua contro chi è armato di kalashinikov fino ai denti. Ci sono logiche che non ci sono proprie. Come si potrebbe cambiare un’organizzazione strutturata sul “conteggio delle tessere”, le deleghe ai congressi, i rappresentanti di seggio che controllano i territori, la “gestione del consenso”, il voto di scambio, le poltrone promesse? Un’organizzazione che “troppo spesso investe su uomini piccoli piccoli” prendendo in prestito le parole usate dal Vescovo di Messina qualche tempo fa al Corriere della Sera.
Ogni tentativo di partecipazione in questi contesti sarebbe come mettere “vino nuovo in otri vecchi”. E allora, Eminenza, che facciamo?

Carissimo Arcivescovo,
non vorrei aver dato una visione pessimistica dei tre contesti ma il mio compito era evidenziare le criticità e, a dire la verità, erano così evidenti che non ho dovuto fare grossi sforzi.


Giuseppe Irace

GIOVEDI 15 MARZO ORE 18- SALA DELLA MUNICIPALITA' DI S.GIOVANNI A TEDUCCIO A NAPOLI, SARA' PRESENTATO IL LIBRO "IL POSTO DEI CATTOLICI"

GIOVEDI 15 MARZO ORE 18- SALA DELLA MUNICIPALITA' DI S.GIOVANNI A TEDUCCIO (sala R.D'Angelo via Atripalda) A NAPOLI, SARA' PRESENTATO IL LIBRO "IL POSTO DEI CATTOLICI" di LUIGI BOBBA. PARTECIPANO MASSIMO MILONE, MARIO DI COSTANZO, MARCO ROSSI, DONATO MOSELLA, PASQUALE ORLANDO.
spunti di rilessione.
Alcide De Gasperi definiva la Dc come “un partito di centro che guarda a sinistra”, Ma a distanza di 15 anni dalla fine di quell'esperienza politica, c'è ancora - e se c'è qual è, oggi - “Il posto dei cattolici"?, Se lo è chiesto Luigi Bobba, già presidente nazionale delle Acli e ora senatore della Margherita, che ha raccolto le sue riflessioni in un saggio pubblicato da Einaudi e presentato a Roma e in tante altre città. Un volume che, sebbene abbia le caratteristiche dell'istant book, è invece frutto di una riflessione iniziata qualche anno fa, quando per Bobba l'esperienza politica non si era ancora tramutata nell'adesione partitica allo schieramento di centro sinistra.
Come già era avvenuto per la “prima romana" anche le altre presentazioni non hanno mancato di radunare una platea numerosissima ed eterogena che andava dai rappresentanti delle istituzioni ai sindacalisti, agli esponenti del mondo della cultura e del volontariato fino alla gente comune" spesso disorientata dalle svolte continue della politica italiana. “Il libro - ha detto Bobba - parte da una domanda presente nella società italiana: non voglio tirare la Chiesa dalla mia parte, ma credo che, in mancanza di valori etici, le democrazie implodano”
Senza troppi rimpianti per i bei tempi andati della Dc, Bobba cerca il posto dei cattolici in quella che, riallacciandosi a De Gasperi, definisce “la quarta fase”: dopo gli anni del partito di centro, poi di centro che guarda a sinistra e poi di unità nazionale, ora il posto dei cattolici è nelle loro comuni radici di formazione all'agire sociale.
“Così come avvenne all'inizio del '900 in reazione al modernismo - ha ricordato - e così come è stato dopo il '68”. L'invito è stato di aprirsi al futuro, ricuperando la propria memoria “e coniugandola con l'osare. Anche perché - ha detto Bobba - oggi ci troviamo ad affrontare problemi che 15 anni fa non esistevano, dall'immigrazione all'etica, alla necessità di essere presenti nel mondo attraverso una politica estera che divenga un elemento fondante della nostra identità nazionale».
Insomma, il posto dei cattolici, non è uno solo (e di certo, per Bobba, non è da una sola parte politica): -Il bipolarismo politico - ha concluso - non si può tradurre in un bipolarismo etico: deve esistere un'etica pubblica condivisa e dobbiamo far vivere i valori trovando convergenze su quelli che sono i temi fondamentali della nostra cultura».
Uno tra gli altri: la solidarietà verso progetti di crescita per il continente africano, che Bobba testimonia devolvendo alla missione diocesana di Inhassoro i diritti d'autore del libro.