Saturday, March 31, 2007

domani Incontro per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso a S.Anna a Capuana (napoli)

domani Incontro per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso a S.Anna a Capuana (napoli)
domani 1° aprile, alle ore 18.30, si terrà presso la Chiesa di S. Anna a Capuana a Napoli (alle spalle di Castel Capuano) un incontro di approfondimento con Don Gaetano Castello, responsabile diocesano per l'ecumenismo ed il dialogo interreligioso. L'incontro avrà ad oggetto la prossima Assemblea ecumenica delle chiese d'Europa che si terrà a Sibiu in Romania il prossimo 6-9 settembre.Seguirà, verso le 19.30, la preghiera nello stile di Taizè che rappresenta la tappa quindicinale della nostra itineranza di preghiera.Sarà dunque un momento di grande interesse e coinvolgimento per il cammino ecumenico anche in considerazione della domenica delle Palme che predece una Pasqua particolare in quanto comune quest'anno come data a tutte le chiese cristiane.

Wednesday, March 14, 2007

un'analisi sulle criticità afferenti gli ambiti del lavoro, della scuola/università, della cittadinanza/politica.

Carissimi in occassione dell'incontro con i giovani della IV zona pastorale della diocesi di napoli con il Cardinale Sepe è stato chiesto a Giuseppe Irace di produrre un'analisi sulle criticità afferenti gli ambiti del lavoro, della scuola/università, della cittadinanza/politica.
La pubblichiamo per favorire una più vasta riflessione.



Carissimo Arcivescovo,

mi è stato chiesto, dalla Pastorale Giovanile del IX decanato, di provare ad esporre 3 ambiti strettamente laicali della vita dei giovani di questa zona pastorale (ma credo che, per la vastità del territorio, rispecchino in pieno quelli dell’intero territorio cittadino).
E di questi ambiti esporre solo le criticità affinché lei ci possa indicare come “organizzare la speranza”.
Non essendo più strettamente giovane – a 32 anni con lavoro, casa, moglie e figlia si deve iniziare a pensare di avere a che fare con un adulto, con un adulto giovane ma pur sempre con un adulto, per evitare già da questi piccoli segni una deriva “giovanilista” - ho provato a far conto con la mia più che decennale esperienza di educatore di giovani e giovanissimi, in Azione Cattolica, e soprattutto ho ascoltato un gran numero di educatori e di giovani sui tre temi affidati: lavoro, scuola e università e cittadinanza e politica.
Per forza di cosa, per la brevità di tempo, procederò con estrema sintesi, quasi per slogan. In questo modo, forse col rischio di un po’ di superficialità ma anche con molta essenzialità, proverò quasi a fare tre fotografie delle “fragilità” che si riscontrano nei tre ambiti.
Vorrei anche scusarmi per il fatto che leggerò il mio intervento ma, avendo condiviso questo contributo con altri, vorrei tener fede alle cose che insieme abbiamo concordato.

Il lavoro
Qualche anno fa Massimo Troisi in un noto brano di cabaret diceva che a Napoli la parola lavoro non si trova mai da sola: lavoro nero, lavoro minorile, lavoro sottopagato,…
Dopo decenni credo che lo sketch sia quanto mai di attualità anche se forse non fa più ridere.
Il lavoro nero continua ad imperare soprattutto nei contesti a bassa professionalizzazione, nelle numerose “fabbrichette” e nel commercio, ma anche nelle professioni: quanti avvocati, commercialisti o architetti hanno un contratto negli studi dove, di fatto, sono dipendenti? Quante segretarie hanno un contratto dai loro datori di lavoro?
Ma le forme di lavoro nero si sono raffinate: non sono pochi i giovani che sono contrattualizzati “part time” e invece lavorano “full time” (straordinari domenicali inclusi). Oppure in tanti firmano buste-paga molto più alte di quanto realmente percepiscono: basta pensare agli insegnanti degli istituti scolastici parificati (spero non anche negli Istituti religiosi).
Ma la difficoltà maggiormente presente tra i giovani è la “precarizzazione” che, da facilitazione all’accesso nel mondo del lavoro, è rapidamente divenuta sottoccupazione regolamentata e resa stabile, con le ovvie difficoltà alla progettazione della propria vita.
A questo si associa spesso un accesso in ritardo al mondo del lavoro che fa sì che si chiamino “giovani” dei laureati trentenni.
Agli stipendi oggettivamente bassi si contrappongono aspettative di spesa a volte troppo alte, con bisogni indotti dagli standard televisivi.
Poi ci sono i giovani impegnati nelle imprese sociali del cosiddetto terzo settore che spesso per essere pagati devono attendere anche 12, 13 mesi prima che i Comuni liquidino le cooperative dove lavorano.
Poi c’è tutto il settore della formazione professionale volto all’inclusione nel mondo del lavoro. È noto che tali interventi non hanno prodotto nemmeno un unico posto di lavoro se non per i formatori che in alcuni casi pare abbiano foraggiato il sistema delle clientele.
Ulteriore preoccupazione, che ormai è diventata una certezza: molti giovani, anche quelli delle nostre parrocchie, sono costretti ad emigrare al nord. Cosicché la città e la Chiesa locale perdono i giovani più motivati, onesti o preparati. E perdono anche quelli che non sono disposti a chinarsi di fronte al potente di turno che promette di “sistemarlo” nell’ennesima S.p.A. a totale capitale pubblico. Veda, Eminenza, queste S.p.A. hanno sostanzialmente risolto il problema dell’inclusione dei raccomandati potendosi applicare per esse l’accesso diretto, ovvero senza concorso pubblico, rispondendo alle leggi del privato, pur essendo a totale proprietà pubblica. Questo è un esempio di come, nel formale rispetto delle regole, si possano conseguire risultati sostanzialmente ingiusti. Vostra Eminenza ha giustamente insistito sulla necessità di investire in educazione. Ma non v’è dubbio che vicende di questo genere producono effetti devastanti proprio sul piano educativo, cioè sul piano della formazione delle coscienze.

Scuola e Università
Pensando alle criticità della scuola subito ci è venuta in mente l’imperante delegittimazione dei docenti da parte dei nostri giovanissimi ma a volte anche da parte dei loro genitori. Questi ultimi alternano una apparente delega del ruolo educativo alla scuola con una grande inadeguatezza nel trasferire regole, producendo giovani viziati e troppo spesso incapaci di responsabilizzarsi.
Si aggiunga che, in linea generale, i ragazzi vanno a scuola quasi sempre con un misto di senso di obbligo e volontà di trovare un lavoro. Viceversa, quasi mai riescono a percepire il valore della crescita umana e culturale.
Discorso a parte si può fare per la demotivazione nei docenti, ma questa solo marginalmente interessa il ruolo attivo dei ragazzi e dipende da altre cause.
Per quanto riguarda l’Università, dal dialogo con i giovani sono venute diverse sollecitazioni:
 le problematiche legate al numero chiuso e, di contro, quelle che riguardano i numeri enormi di iscritti ad alcune facoltà;
 la “liceizzazione” delle università con una conseguente parcellizzazione degli esami e uno scarso livello della formazione;
 il nepotismo universitario che influisce sulla qualità dei docenti. È ormai accettato da tutti, forse anche dai docenti che noi invitiamo ai nostri convegni, che le assunzioni all’Università avvengano per cooptazione con una sostanziale elusione dei meccanismi concorsuali. Il risultato è che tutto è lasciato alla coscienza del docente che, nel migliore dei casi, coopta il più bravo del suo gruppo di ricerca, nel peggiore il figlio o il nipote.
A tutto questo si associa l’impegno part-time dei docenti che svolgono altre professioni e che, di conseguenza, non si dedicano completamente all’insegnamento o alla ricerca.

Politica e cittadinanza
Innanzitutto ci sembra che il vivere da cittadini ancora per tanti non sia una cosa “normale”: il disinteresse per la cosa pubblica è atteggiamento comune a tantissimi giovani e meno giovani.
L’individualismo caratterizza le nostre piccole e grandi scelte. Il qualunquismo impera e la “politica” continua ad essere una parolaccia da cui tenersi alla larga.
Di contro, l’accattonaggio e il servilismo nei confronti dei potenti ha assunto dimensioni impressionanti anche nelle classi sociali economicamente e culturalmente più elevate. E, cosa ancora più grave, si incontrano giovani e giovanissimi che sono già vecchi nel modo di pensare e di rapportarsi con la politica e che sono privi della carica ideale propria della giovinezza che, invece, ciascuno dovrebbe coltivare per non perderla da adulti.
Oppure l’approccio verso la politica è vissuto da “tifosi” parteggiando per una parte piuttosto che per l’altra e non basandosi su valori o su programmi ma sull’appartenenza quasi fideistica ad uno schieramento oppure all’altro.
D’altro canto, ci si chieda: seppure un giovane in gamba, già fortemente impegnato nel volontariato, decidesse di iniziare a fare politica, quale atteggiamento rischierebbe di trovare intorno a se nel nostro ambiente?
Alcuni penserebbero ad una risorsa persa per entrare nei pericolosi sistemi della politica. Altri gli darebbero una bella pacca sulla spalla complimentandosi della scelta. Qualcuno magari gli darebbe anche fiducia (“una delega in bianco”) votandolo per poi abbandonarlo e continuare a vivere nella propria indifferenza. Altri lo guarderebbero con sospetto e magari penserebbero (“te lo dicevo io …”) che il nostro giovanotto abbia approfittato del proprio impegno nel volontariato per fare “il grande salto” nell’agone politico.
Altri ancora lo vedrebbero come una “risorsa” a cui “attingere”. E così gli si potrebbe segnalare quel bravo giovane che “io lo conosco da tanti anni e deve fare l’esame di accesso all’università”, quel finanziamento per il progetto dell’oratorio della parrocchia che magari potrebbe avere un aiutino “ma per carità solo un aiutino…!”, o quella ragazza che ha fatto domanda per il servizio civile in Comune “che io conosco la famiglia da tanti anni” e che potrebbe avere proprio bisogno di quei 400€ al mese, ancora quel bravo avvocato o quel docente universitario che si propongono per una consulenza.
Questo rischia di essere la nostra partecipazione? Dove è andata a finire la politica proposta come “la più alta forma di carità” come amava definirla Paolo VI? Che spazio diamo alla cura delle vocazioni politiche?
Ritengo che ci siano due rischi che assume oggi più che mai, chi fa politica.
Uno è l’isolamento di chi si impegna in politica. Infatti, cosa è accaduto negli anni successivi a “tangentopoli”? Un folto gruppo di persone perbene e in gamba, anche provenienti dal contesto ecclesiale, ha vissuto un impegno politico nelle istituzioni, anche di primo piano. Ma da soli. Dopo di che, cosa è avvenuto con il passare del tempo e con il ritorno di vecchie logiche e di loschi figuri? O si sono “integrati” con il sistema o sono stati prima “isolati” e poi “emarginati”, in molti casi “espulsi” dalla politica.
Questo mi fa giungere alla conclusione che l’impegno politico bisogna viverlo insieme. Il che significa che un gruppo di persone che condivide ideali e progetti se intende vivere l’impegno politico costruisce una rete leale e fa “squadra”. Ma anche questo non basterebbe: infatti è necessario che alle spalle di questo manipolo di uomini e di donne ci sia una comunità che sostenga, orienti e corregga le scelte del gruppo. Di più: una comunità che produca idee sulla vita della città cioè sulla polis cioè sulla politica. Si tratta, in altri termini, di creare una sensibilità diffusa nella comunità ecclesiale in mancanza della quale gli inviti del magistero ad un rinnovato impegno nella politica sarebbero solo esercitazioni letterarie. D’altro canto, non sto scoprendo nulla di nuovo: basti dare uno sguardo alla Dottrina sociale della Chiesa e, da ultimo, al magistero di Giovanni Paolo II (valga per tutti il n. 42 della Christifideles laici) per averne conferma.
Un secondo rischio che intravedo attiene agli strumenti: chi decide di fare politica lo fa entrando in un partito. Uno strumento – per come è oggi e non certo per come era nella logica dei padri costituenti – tarato alla base. Quindi chi vuole fare politica può o cambiare da dentro le logiche del partito o provare ad individuare strumenti nuovi.
Credo, e spero, che qualcuno possa confutare la mia opinione, che la scelta di cambiamento dall’interno non paghi.
Sarebbe come combattere con le pistole ad acqua contro chi è armato di kalashinikov fino ai denti. Ci sono logiche che non ci sono proprie. Come si potrebbe cambiare un’organizzazione strutturata sul “conteggio delle tessere”, le deleghe ai congressi, i rappresentanti di seggio che controllano i territori, la “gestione del consenso”, il voto di scambio, le poltrone promesse? Un’organizzazione che “troppo spesso investe su uomini piccoli piccoli” prendendo in prestito le parole usate dal Vescovo di Messina qualche tempo fa al Corriere della Sera.
Ogni tentativo di partecipazione in questi contesti sarebbe come mettere “vino nuovo in otri vecchi”. E allora, Eminenza, che facciamo?

Carissimo Arcivescovo,
non vorrei aver dato una visione pessimistica dei tre contesti ma il mio compito era evidenziare le criticità e, a dire la verità, erano così evidenti che non ho dovuto fare grossi sforzi.


Giuseppe Irace

GIOVEDI 15 MARZO ORE 18- SALA DELLA MUNICIPALITA' DI S.GIOVANNI A TEDUCCIO A NAPOLI, SARA' PRESENTATO IL LIBRO "IL POSTO DEI CATTOLICI"

GIOVEDI 15 MARZO ORE 18- SALA DELLA MUNICIPALITA' DI S.GIOVANNI A TEDUCCIO (sala R.D'Angelo via Atripalda) A NAPOLI, SARA' PRESENTATO IL LIBRO "IL POSTO DEI CATTOLICI" di LUIGI BOBBA. PARTECIPANO MASSIMO MILONE, MARIO DI COSTANZO, MARCO ROSSI, DONATO MOSELLA, PASQUALE ORLANDO.
spunti di rilessione.
Alcide De Gasperi definiva la Dc come “un partito di centro che guarda a sinistra”, Ma a distanza di 15 anni dalla fine di quell'esperienza politica, c'è ancora - e se c'è qual è, oggi - “Il posto dei cattolici"?, Se lo è chiesto Luigi Bobba, già presidente nazionale delle Acli e ora senatore della Margherita, che ha raccolto le sue riflessioni in un saggio pubblicato da Einaudi e presentato a Roma e in tante altre città. Un volume che, sebbene abbia le caratteristiche dell'istant book, è invece frutto di una riflessione iniziata qualche anno fa, quando per Bobba l'esperienza politica non si era ancora tramutata nell'adesione partitica allo schieramento di centro sinistra.
Come già era avvenuto per la “prima romana" anche le altre presentazioni non hanno mancato di radunare una platea numerosissima ed eterogena che andava dai rappresentanti delle istituzioni ai sindacalisti, agli esponenti del mondo della cultura e del volontariato fino alla gente comune" spesso disorientata dalle svolte continue della politica italiana. “Il libro - ha detto Bobba - parte da una domanda presente nella società italiana: non voglio tirare la Chiesa dalla mia parte, ma credo che, in mancanza di valori etici, le democrazie implodano”
Senza troppi rimpianti per i bei tempi andati della Dc, Bobba cerca il posto dei cattolici in quella che, riallacciandosi a De Gasperi, definisce “la quarta fase”: dopo gli anni del partito di centro, poi di centro che guarda a sinistra e poi di unità nazionale, ora il posto dei cattolici è nelle loro comuni radici di formazione all'agire sociale.
“Così come avvenne all'inizio del '900 in reazione al modernismo - ha ricordato - e così come è stato dopo il '68”. L'invito è stato di aprirsi al futuro, ricuperando la propria memoria “e coniugandola con l'osare. Anche perché - ha detto Bobba - oggi ci troviamo ad affrontare problemi che 15 anni fa non esistevano, dall'immigrazione all'etica, alla necessità di essere presenti nel mondo attraverso una politica estera che divenga un elemento fondante della nostra identità nazionale».
Insomma, il posto dei cattolici, non è uno solo (e di certo, per Bobba, non è da una sola parte politica): -Il bipolarismo politico - ha concluso - non si può tradurre in un bipolarismo etico: deve esistere un'etica pubblica condivisa e dobbiamo far vivere i valori trovando convergenze su quelli che sono i temi fondamentali della nostra cultura».
Uno tra gli altri: la solidarietà verso progetti di crescita per il continente africano, che Bobba testimonia devolvendo alla missione diocesana di Inhassoro i diritti d'autore del libro.